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L’arte di Willy Ronis

L’arte di Willy Ronis

6 Settembre 2018

 

copertina del libro “Mon Paris”Willy Ronis con la sua opera ha attraversato buona parte del Novecento, ed è una figura centrale della fotografia umanista francese. Nel suo “Sur le fil du hazard”, egli ha scritto: “La fotografia è lo sguardo. Si ha o non si ha. Può affinarsi con gli anni, ma si manifesta fin da subito, con la macchina più a buon mercato”; e infatti la sua predisposizione per il mezzo fotografico si nota già dai primi scatti, ancora adolescente come gli stessi lo ritraggono (sono per lo più autoritratti). In essi quel tanto di mestiere appreso nella bottega del padre è misto ad un innato senso della rappresentazione, che lo predestina ad essere fotografo, malgrado a quel tempo Ronis ne sia ancora ignaro e insegua il sogno dell’infanzia: un futuro nel campo della musica come compositore.
I suoi desideri in fondo si realizzeranno, anche se in maniera del tutto inattesa: come fotografo, sarà infatti un “compositore” d’immagini, ed elementi basilari per la musica, quali l’armonia e il tempo, saranno sempre al centro della sua poetica.
Ronis ha esplorato vari campi del suo mestiere: attento come un artigiano alla buona tecnica non meno che all’espressione artistica, ha lavorato nella moda, nella pubblicità, nella fotografia industriale, nell’illustrazione giornalistica.
Il suo “sguardo” resta però sempre e soprattutto quello di un reporter della quotidianità, lo rivela persino una foto come la celebre Nu provençal, dove è ritratta la moglie Marie-Anne che si accinge, in un torrido pomeriggio d’estate, a rinfrescarsi all’acqua di un catino vicino ad una finestra, appena sveglia dalla siesta. Come il fotografo stesso racconterà, quest’immagine è frutto di una casualità, di un gesto sapientemente colto dal suo sguardo e trattenuto dalla modella giusto il tempo di recuperare la fotocamera e scattare; pur posata, conserva intatto l’aspetto di uno scatto “rubato”. L’ambientazione estremamente spoglia della casa di campagna, presso cui nel 1949 la famiglia trascorre le sue vacanze, offre alla vista pochi elementi, che nell’obbiettivo si sono però armoniosamente ricomposti per raccontare il fascino di un’atmosfera particolare. E’, come accade sempre in Ronis, la descrizione di un attimo che si stacca dal flusso temporale per divenire “significato”.
Nei suoi libri, come nelle interviste rilasciate, il maestro francese ha ribadito quel che si poteva ben intuire dalla sua fotografia, cioè una passione profonda per la narrazione aneddotica, sviluppata negli anni andando a caccia di immagini, soprattutto per le strade della sua Parigi.
Con il suo errare per la città e il suo senso dell’avventura che “non si misura in chilometri”, ma si deve ricercare nell’improvvisa rivelazione di un istante, che ci spalanca le porte dell’emozione dinnanzi a “un tulipano in un vaso, sul quale si poggia un raggio di sole”, richiama alla mente l’immagine letteraria del flâneur. Il suo interesse per la condizione umana, e questo porsi in maniera empatica di fronte alle più semplici azioni d’ogni giorno, per scoprirvi un significato esistenziale universale, hanno fatto di lui un grande fotografo “umanista”, più che un semplice reporter sociale.
Forma e tempo sono due concetti chiave nell’arte di Willy Ronis.
Come nella realtà circostante, anche nel proprio esprimersi fotograficamente, egli ha cercato la semplicità, ma nell’accezione più alta del termine, quella cioè di chiarezza ed immediatezza; da vero comunicatore.
Nella sua fotografia l’attenzione alla forma, quindi, diventa ricerca tenace di un equilibrio, che non è tuttavia algida perfezione, quanto piuttosto “una geometria modulata dal cuore”. Le sue sono immagini complesse in una forma apparentemente semplice, perché funzionale: “Una foto significativa è una foto funzionale… La funzione di una foto consiste nella sua capacità immediata di sintetizzare la propria intenzione”.
La fotografia di Ronis è – secondo la sua stessa definizione – “dal vivo”: si realizza all’interno del tempo e richiede tempo. In un simile tipo di opera, la principale risorsa del fotografo è una chiara “percezione del tempo forte”, cioè dell’istante esatto in cui ogni figura si ritrova, nella scena ripresa, composta dal caso in un’armonia, che trasmette insieme il senso e l’emozione, stimolo di quello scatto. E’ un intuito, uno stato di grazia, che si manifesta in urgenza emotiva a scattare, racconta il fotografo parigino. Tale pulsione, egli precisa, nasce nella riflessione e nella paziente attesa; nulla ha, dunque, a che vedere con certi fotografi “mitraglieri”.
L’opera di Ronis è quella di un comunicatore, che non ammette equivoci nei suoi messaggi. E’ questo il motivo che lo ha portato a criticare quei colleghi che, per imperizia o per inseguire i facili successi di una moda pseudo-concettuale, hanno preferito la strada dell’ambiguità visiva, scegliendo di pubblicare immagini indeterminate nella forma e prive di un contesto chiaro.
Quel che più lo interessa, come appare, non è la creazione di un prodotto estetico fine a se stesso, ma piuttosto il trasmettere le proprie emozioni, i sentimenti provati dinnanzi a una situazione: non ignora, tuttavia – da comunicatore consapevole, quale egli è – il fatto che il “lettore” della sua immagine tenderà sempre ad arricchire quest’ultima d’imprevisti significati, mutuandoli dalla propria esperienza e dalle proprie aspettative. Non per nulla aveva lasciato l’agenzia Rapho che gli aveva impedito un controllo delle didascalie apparse accanto alle sue foto.
Per meglio comprendere l’atteggiamento del maestro francese di fronte al proprio lavoro, è necessario probabilmente esaminare anche il suo rapporto con il concetto di “hazard”, parola che è ricorsa spesso nei titoli di sue mostre e libri.
L’uso di questa parola nella lingua originale evoca oltre alla casualità i rischi del mestiere, che portano il fotografo a dubitare sempre dei propri risultati fino all’istante in cui non li può vedere concretizzati in un provino. Ronis parla, inoltre, della macchina fotografica come di una “scatola nera”; meno inquietante di quelle poste negli aerei o nei treni, essa è una sorta di registratore grafico molto indiscreto, per la sua attitudine a trasferire sui provini ogni traccia, anche la meno desiderata dal professionista, quella cioè di foto poco riuscite.
Visto che ogni cosa nel processo fotografico, dallo scatto alla stampa, deve essere frutto di paziente lavoro di selezione, e nulla è fortuito nelle sue composizioni, anche se tutto appare perfettamente naturale, tutto sembrerebbe scoraggiare da una lettura dell’opera ronisiana alla luce del concetto di casualità, se non che è il concetto di Caso, è insistentemente invocato da Ronis.
Al giorno d’oggi, esso è per noi ciò che gli antichi greci chiamavano “Tyche” e i romani, dopo di loro, “Fortuna”, l’incontro, per definizione imprevedibile e indipendente dalla volontà umana, di eventi esterni che tocca ad ognuno. Ma Ronis puntualizza: “una cosa è il caso che arriva di sorpresa, e un’altra cosa la capacità del fotografo di catturarne l’effetto”.
Vogliamo anche immaginare che, bandita ogni forma di casualità dall’opera finita, questo grande della fotografia, abbia preferito riconoscere – col menzionarlo tanto in titoli e scritti – l’importanza del Caso, nella sua accezione di “Moira”, la triplice divinità greca che assegnava a ciascun uomo la sua natura e il suo destino nel tempo. Un tributo alla casuale predestinazione del suo “sguardo” fotografico.

Biografia

Willy Ronis nasce a Parigi il 14 agosto 1910, è figlio di immigrati: il padre, ebreo ucraino, era arrivato in Francia sei anni prima e, già fotografo, aveva trovato un posto da ritoccatore nello studio di un ritrattista; appassionato di canto, aveva incontrato la futura sposa, una giovane insegnante di pianoforte lituana, in un circolo musicale. Costei, continuando per qualche anno dopo il matrimonio ad esercitare a casa la propria professione, dà un’impronta particolare all’infanzia di Willy, che inizia prestissimo a studiare il violino e cresce con l’idea di diventare compositore.

Studia, con scarso profitto, al Liceo Luis-le-Grand, ma è molto portato per il disegno e ama la pittura classica. Per il sedicesimo compleanno, chiede in regalo la sua prima macchina fotografica, una Kodak dall’insolito formato 6,5×11. Le prime esperienze da fotoamatore si svolgono nello studio del padre, che dopo il matrimonio si è messo in proprio: lo interessano soprattutto i ritratti, ma non avendo a disposizione modelli, ripiega su autoritratti e scatti in esterni, che sviluppa e stampa da sé, avendo appreso sin da piccolo l’arte, attraverso l’osservazione del padre al lavoro.

La passione di Willy resta, comunque, la musica e, per poter pagare le lezioni di armonia, fa il violinista in un ristorante a Champs Elysées. Intanto cerca di assecondare, iscrivendosi in Legge, i desideri dei genitori che vorrebbero per lui un futuro da funzionario. Dopo un primo anno fallimentare, lascia l’università, per assolvere all’obbligo militare; durante quel periodo fa il meteorologo e continua a suonare.

La fotografia sembra dimenticata, finché, al ritorno a casa nel 1932, non è costretto a sostituire nel lavoro il padre gravemente malato. Deve, per questo, abbandonare la musica.

Il lavoro che deve affrontare è alquanto deprimente per il giovane Ronis: egli ha sempre coltivato le proprie inclinazioni artistiche, ma ora deve limitarsi a soddisfare il gusto piccolo borghese della clientela; il proprio, l’ha invece affinato durante lunghe visite al Louvre e alle mostre della Società Francese di Fotografia, così ammira le fotografie pubblicate sugli album annuali di Arts et Métiers Graphiques, o su Vu (rivista illustrata che precorre il più celebre Life) ed è assiduo frequentatore delle mostre nel quartiere latino, dove innovatori come Kertesz e Brassaï, espongono immagini che non contraddicono ma ampliano la sua visione classica.

Unico sprazzo nel grigiore di un lavoro per nulla gratificante, sono le commissioni di foto industriali. Nel tempo libero Willy prende l’abitudine di errare per la sua Parigi a caccia di immagini: si sente finalmente coinvolto nella fotografia. Sperimenta formati fotografici più piccoli (4,5×6, 3×4), che ampliano le sue potenzialità espressive; si interessa alle riprese notturne e in luce artificiale. Trovandosi in vacanza in montagna, inizia a formare quella che chiamerà la sua “fototeca sulla neve”, un archivio che si arricchirà sempre più negli anni e, a partire dal 1935, gli garantirà la collaborazione sia con riviste specializzate che con il Commissariato per il Turismo.

E’ un periodo difficile per la Francia, scossa dai fermenti sociali del Fronte Popolare. Willy Ronis documenta gli avvenimenti di quei giorni per alcuni giornali di sinistra e, per avere qualche soldo in più, scrive pure qualche articolo per Regards.

Nel 1936, alla morte del padre, la sua situazione economica non sarebbe propizia a un simile passo, tuttavia decide di chiudere lo studio per fare il fotografo illustratore, considerando ormai intollerabile la discrepanza fra i propri intenti fotografici e le richieste della clientela. Complice l’incontro di Chim Seymour e di Robert Capa, la fotografia da ripiego necessario diventa una consapevole scelta di vita.

Il giovane incontra difficoltà all’inizio, anche a causa di un’attrezzatura antiquata e ridotta al minimo indispensabile, ma l’acquisto di una Rolleiflex di seconda mano, gli consente di ottenere la maggior rapidità e maneggevolezza che esigono i suoi nuovi lavori; e intanto trova un buon socio in Naf, che deve appoggiarsi a lui, mancando di regolare visto di lavoro: insieme sono fra i primi a fotografare la sconvolgente Guernica di Picasso, in mostra per la prima volta all’Expo 37.

Ronis preferisce spaziare in vari campi della fotografia, anche se restano le foto industriali la sua principale fonte di guadagno. Le sue prime personali, “Neige dans le Vosges” e “Paris la nuit” hanno luogo nel ’37, mentre lo storico reportage sullo sciopero alla Citröen è dell’anno successivo; anno, questo, in cui s’imbarca per due viaggi lavorando come fotografo di bordo, al seguito di un ex compagno d’armi, il quale ha ora una compagnia di navigazione. Raccoglie così una grande quantità di immagini attraverso tutto il Mediterraneo: da questi scatti, Robert Capa trarrà diversi servizi d’attualità da proporre attraverso la piccola agenzia, che dirige in quel momento.

La guerra obbliga il fotografo francese a una lunga pausa dalla sua attività, durante la quale improvvisa vari mestieri: fra questi quello di pittore su gioielli, gli fa incontrare Marie-Anne che sposa nel ’46.

Dopo la Liberazione, ritorna con fervore alla fotografia: lo ispira soprattutto il reportage e lavora per la stampa illustrata. Diventa membro del “Groupe de XV”, e partecipa alle loro mostre annuali tra il ’47 e il ’60. Entra anche a far parte dell’agenzia Rapho, ma l’abbandonerà già nel ’49 a causa di una divergenza riguardo il controllo delle didascalie accanto alle foto.

La notorietà di Willy Ronis aumenta di pari passo con l’apprezzamento del suo lavoro: il “Prix Kodak” che gli è consegnato nel 1947, è solo il primo dei tanti premi che riceverà negli anni. Nel 1954 pubblica un libro, “Belleville-Ménilmontant”, dedicato all’amata Parigi. E’ l’anno in cui infine si converte felicemente all’uso del piccolo formato, pressato dagli amici Cartier-BressonChim.

Partecipa a importanti mostre come “Four French Photographers” (con Brassaï, Doisneau, Izis), nel ’53 e, dopo due anni, a “The Family of Man”, entrambe al Museo d’Arte Moderna di New York. Nel ’57 è medaglia d’oro alla Biennale di Venezia.

In quegli anni, oltre al reportage, lo impegna la moda: collabora con Vogue. Partecipa pure ad annuari internazionali come “US Camera”, “Photography Year Book”, “Photography of the World” e pubblica diversi libri collettivi (ne escono altri due soltanto suoi, così massacrati dall’editore che, sfiduciato, non vorrà più pubblicare a lungo).

I suoi servizi lo spingono negli anni Sessanta in alcune città oltre la Cortina di Ferro e ad Algeri in occasione del primo Festival Panafricano. Comincia a lavorare molto con la Pubblicità.

Nel ’68 insegna all’IDHEC, Estienne, Vaugirard, traendo molta soddisfazione da questa nuova attività. Terrà corsi negli anni seguenti alle Beaux Arts di Avignone, alla facoltà di Lettere di Aix en Provence, e alla facoltà di Scienze Saint-Charles di Marsiglia.

Lascia la capitale nel 1972 per trasferirsi a Gordes in Vaucluse, da dove si sposterà successivamente alla volta di Isle-sur-la Sorgue nel’75; quello stesso anno è nominato Presidente onorario dell’Associazione Nazionale dei fotografi-reporter-illustratori.

Riceve anche il “Grand Prix des Arts et Lettres pour la Photographie”, nel ’79.

A distanza di circa vent’anni, nel 1980, esce infine un suo nuovo libro, “Sur le fil du hazard”, per il quale ottiene il “Prix Nadar”. Ne seguiranno da allora numerosi altri, fino al più recente ”Derrière l’objectif, photos et propos”, del 2001.

A partire dagli anni Ottanta, a dispetto dell’età rispettabile ormai raggiunta, Willy Ronis è sempre più impegnato, in mostre internazionali e pubblicazioni; gli si dedicano varie retrospettive. Riceve molte benemerenze: fra le altre, è nominato Commandeur dans l’Ordre des Arts et Lettres, poi Chevalier de la Legion d’Honneur; diviene membro della Royal Photographic Society di Londra nel ’93 e, qualche anno dopo, Honorary Doctor of Letters (Dlitt) dall’Università di Warwick.

Patrice Noia relizza su di lui un video documentario di 26 minuti dal titolo “Willy Ronis ou les cadeaux du hasard”.

E’ trascorso più di un ventennio da quando, nel 1983, al cospetto dell’allora Ministro della Cultura, Willy Ronis ha donato con effetto post mortem alla città di Parigi il suo intero patrimonio fotografico, un vasto archivio raccolto nel corso di una carriera lunghissima, non ancora conclusa.

[Post scriptum del 13/9/2009]

Muore a Parigi nelle prime ore del 12 settembre 2009 lasciando la sua eredità poetica.

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